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Magnifico: Font dal Libro d'Ore di Lorenzo de' Medici




Questa ricerca ha come oggetto lo sviluppo di un carattere tipografico digitale basato sulla calligrafia quattrocentesca del calligrafo fiorentino Antonio Sinibaldi.

L’idea per la ricerca è nata durante una visita all’Archivio tipografiico di Torino, archivio che raccoglie una splendida collezione di caratteri tipografici in piombo e conserva l’eredità delle più grandi fonderie di caratteri italiane, tra cui la più importante, la Fonderia Nebiolo. L’Archivio ha raccolto negli anni numerosi libri d’epoca in materia di tipografia e stampa, adoperandosi per la conservazione del patrimonio tipografico, e durante la mia visita tra questi mi colpisce lo specimen di un carattere prodotto proprio dalla Nebiolo, il carattere Sinibaldi. Facendo ricerche su questo, scopro che il carattere è stato sviluppato a partire dalla calligrafia di un manoscritto mediceo, un Virgilio, e che Antonio Sinibaldi era un noto copista fiorentino del Quattrocento. Decido allora di seguire il filo del mio concittadino e vengo a sapere che scrisse numerosi manoscritti per la famiglia Medici e che tra questi, uno dei codici più noti e preziosi è il cosiddetto Libro d’Ore di Lorenzo de’ Medici, conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Continuo le mie ricerche e le informazioni che raccolgo ben presto cominciano a stabilire tra di loro connessioni sempre più interessanti: nel giro di pochi giorni decido di intraprendere un progetto di type design che abbia come punto di partenza proprio la calligrafia del Libro d’Ore commissionato da Lorenzo il Magnifico ad Antonio Sinibaldi, come dono di nozze per la figlia Luisa. 

Nello sviluppo del carattere l’intento è stato quello di progettare un font che, pur senza perdere l’impronta storica originaria, si adattasse ai requisiti del mondo digitale. In particolare, nello sviluppo di questo caso di studio, si è voluto mettere in evidenza come le tecnologie disponibili influenzino la progettazione e il disegno delle lettere.







La ricerca ha seguito un percorso cronologico che è partito dalla calligrafia quattrocentesca del Libro d’Ore laurenziano, per passare poi alla tipografia a caratteri mobili dei primi decenni del Novecento e infine giungere all’odierna tipografia digitale. 


L'intero elaborato della ricerca è consultabile qui sotto:​​​​​​​



Ai tempi di Lorenzo niente poteva superare “i piccoli segni di bellezza tracciati da una mano sapiente di scrivano per la voluttà estetica di un principe fastoso; il quale amava certo guardare i libri, prima ancora di leggerli: guardarli per il piacere di posare gli occhi su una cosa bella, e averne una gioia sottile, squisita.... gelosa.”

É proprio questo che spinse Lorenzo a commissionare ai più talentuosi artisti della Firenze del Quattrocento numerosi manoscritti. Così avvenne anche nel 1484-85, quando il Magnifico decise di farsi confezionare proprio da Antonio Sinibaldi, alcuni libri d'ore di grandissimo pregio da donare alle figlie: Lucrezia, Maddalena, Luisa e Contessina. Tra questi il codice noto come il Libro d’Ore di Lorenzo, che si identifica come il dono per Luisa.






Il libro d'ore, detto anche offiziolo o officiolo, è un compendio di testi devozionali a uso dei laici: era di piccole dimensioni, per essere agevolmente tenuto in mano e trasportato, e spesso era dotato di miniature con la funzione di segnalare i testi più importanti e di costituire lo spunto per la meditazione individuale. Si trattava quindi di oggetti molto personali come indicano le frequenti annotazioni delle date di nascita e di morte dei familiari.

Si usava regalare questi particolari libri di preghiere alle giovani di buona famiglia in procinto di maritarsi, insieme agli abiti, ai gioielli e ai cassoni per il corredo. Naturalmente, quanto più elevato era il rango delle future spose tanto più preziosi erano questi piccoli codici che, veri e propri oggetti di lusso, univano alla funzione di strumento devozionale un diverso significato, più laico e mondano, che potremmo oggi definire di status symbol.






I manoscritti laurenziani rappresentano un’innovazione nella scrittura. I tre codici sono stati infatti vergati nella stile definito littera antiqua, scelta assolutamente non consueta, poiché nella maggioranza dei testi devozionali e liturgici si impiegava (e si continuerà a farlo anche oltre il Quattrocento) la littera textualis, ovvero la scrittura gotica.

La littera antiqua, conosciuta oggi come scrittura umanistica, è il frutto di un'elaborazione cosciente da parte degli intellettuali fiorentini agli inizi del Quattrocento. Gli umanisti fiorentini erano affascinati dalla cultura classica e non amavano le angolosità dello stile gotico. In linea col desiderio di riscoprire e riportare in vita l’eredità culturale della tradizione classica, elaborarono una scrittura raffinata e armoniosa basandosi sulle lettere trovate in antichi manoscritti. Questa nuova scrittura, la chiamarono littera antiqua in contrapposizione al gotico che chiamavano littera modernaFu Petrarca il primo a suggerire il superamento della scrittura gotica, giudicandola faticosa da leggere. Egli si mostrò in favore della tarda minuscola carolina (usata nei manoscritti del XII dell’Italia del Nord), scrittura più rotonda e leggibile, e di un’impaginazione più ariosa con maggiori spazi fra le parole e le righe. 

Sulla scia di Petrarca fu poi l’umanista fiorentino Poggio Bracciolini, insieme al calligrafo Niccolò Niccoli, a codificare questo nuovo modello grafico: eliminarono ogni traccia di gotico per tornare alle forme ampie e rotondeggianti della minuscola carolina, convinti che fosse la grafia usata dai Romani e la scrittura sviluppatasi alla corte di Carlo Magno.






Sinibaldi, nato a metà del secolo, è figlio della riforma grafica umanistica e la sua maestria grafica è ben evidente nel codice Laurenziano: la pagina si presenta armonica, equilibrata e ariosa, e il testo risulta ben leggibile, anche per gli occhi contemporanei. L'esigenza funzionale, cioè la leggibilità, si combina magistralmente con la tipica impaginazione del manoscritto umanistico di pregio: l'occhio è aiutato dalla presenza di uno specchio stretto, che occupa meno di un quarto dell'intera superficie della pagina (20%) e la scrittura si distribuisce su righe ben spaziate. La grandezza di Sinibaldi sta nell'accogliere il principio di regolarità, funzionale alla leggibilità, che è proprio della stampa, riuscendo nel contempo a vivacizzarlo attraverso una serie di espedienti e varianti che rendono mossa la pagina e le conferiscono una raffinata eleganza.

A differenza della stampa nella calligrafia il copista è libero di utilizzare varianti. Lo stretto specchio di scrittura si traduce in righe di testo che contengono in media tre-quattro parole: ciò costringe i copista a mettere in atto tutta una serie di accorgimenti per giustificare la scrittura in fine di rigo. Tra questi troviamo lettere soprascritte in esponente (speso "a" e "s"), litterae incluse (ovvero lettere dentro altre lettere), l’uso di riempitivi come fregi, lettere “i” e “o” omesse, specifiche varianti quali "s" sdraiata, parole maggiormente spaziate, frequentissimi allungamenti dell'ultimo tratto della lettera o del segno abbreviativo.

Questa variatio grafica non è solo la risposta a esigenze funzionali ma anche il frutto di una scelta stilistica dai fini estetici. Per rendere il codice ancora più raffinato ed elegante, Sinibaldi inserisce anche varianti calligrafiche delle capitali (come "R" e "P") e recuperi antiquari come la “a” onciale (lettera che è anche l'iniziale del nome Antonius e che ha per il copista quasi valore di firma) o la "e" onciale.






Dopo aver analizzato il manoscritto laurenziano, si è reputato innanzitutto necessario ricostruire i caratteri che sono state le radici storiche di partenza: il carattere del Libro d’Ore e il carattere Sinibaldi realizzato dalla Fonderia Nebiolo. Nel primo caso si è trattato di tradurre una scrittura a mano in un font, nel secondo invece della digitalizzazione di un carattere di cui non esisteva una versione digitale, ma solo i caratteri mobili in metallo.
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A causa della fragilità del manoscritto, la Biblioteca Laurenziana mi ha comunicato che non era possibile consultare il manoscritto originale ma che era invece disponibile il facsimile. Inizialmente dispiaciuta, mi sono dovuta ricredere una volta avuto tra le mani il volume: niente poteva far pensare che si trattasse di un facsimile. Il libro, realizzato dall’editore Franco Cosimo Panini, produceva fedelmente ogni caratteristica formale del manoscritto originale: la preziosa legatura in velluto e pietre preziose, l’inchiostro dorato e perfino la foglia d’oro sono stati riprodotti attraverso la stampa serigrafica e la stampa a caldo in modo da conferire spessore e consistenza tattile alla decorazione. L’approccio visivo e il contatto tattile è stato perciò con un simulacro estremamente realistico dell’originale.

Per poter procedere alla trasposizione digitale della calligrafia è stato necessario scattare delle foto di buona qualità, operazione che non si è dimostrata un compito semplice: non solo il manoscritto è di ridotte dimensioni (circa 10x15 cm) ma non può neanche essere ben aperto, a causa della legatura importante. Nonostante ciò, grazie alla successiva elaborazione al computer, sono riuscita ad ottenere delle immagini di buona qualità da cui poter estrarre le lettere.







Con un’attenta selezione delle lettere da varie pagine, sono stata in grado di ricostruire tutto l’alfabeto, maiuscole e minuscole, creando il font che ho chiamato Antonio. Solo alcune lettere erano assenti: "j","k","v","z" nelle minuscole e "J","K","U","Z" nella maiuscole. Di ogni lettera ho estratto 20 esemplari e li ho poi confrontati per selezionare la forma più comunemente usata all’interno del manoscritto. Una volta selezionate le lettere le ho convertite da immagine a formato vettoriale e le ho importate poi in Fontlab.






Si può notare che l'asse delle lettere è inclinato. Ciò è visibile chiaramente nelle lettere basate sul cerchio come la “o” o la “c” e nell' inclinazione del tratto sia in entrata e in uscita della lettera “i”. L'inclinazione dell'asse è determinata dall’angolo di scrittura, ovvero dall’angolo in cui è stata tenuta la penna rispetto alla linea di base. Osservando la forma delle lettere è possibile affermare che esse sono state tracciate originariamente con una penna d’oca a punta piatta tenuta ad un angolo fisso di circa 30°. La forma delle lettere è infatti diretta conseguenza dello strumento di scrittura, ovvero del mezzo tecnico utilizzato. Nel Quattrocento si utilizzava una penna d'oca sul cui becco veniva praticata un'incisione che serviva a conferirle flessibilità e a favorire il flusso regolare dell'inchiostro. Il becco della penna determinava lo spessore del tratto e quindi la grandezza delle lettere. I moderni pennini in metallo non sono che l'evoluzione di tali strumenti.






Nello sviluppo del font ho prestato una particolare attenzione alle varianti stilistiche delle lettere. Essendo questo aspetto di fondamentale importanza in ambito calligrafico, è stato mio obiettivo inserirlo anche nel font: per questo ho ricercato all’interno delle pagine del manoscritto tutte le alternative formali utilizzate dal calligrafo per inserirle come varianti stilistiche facoltative all’interno del font.







Dopo aver rivolto la mia attenzione alle lettere, è stata mia cura occuparmi anche di un aspetto fondamentale di ogni carattere tipografico: la metrica, ovvero la regolazione dello spazio tra le lettere, uno dei fattori che influisce sulla leggibilità. Nel font Antonio ho prestato particolare attenzione a ricreare la texture originale, impostando con attenzione non solo la metrica ma anche il kerning, ovvero lo spazio tra particolari coppie di lettere.






La scrittura di Antonio Sinibaldi viene riscoperta agli inizi del Novecento negli anni 20 quando la Fonderia Nebiolo di Torino, la più importante fonderia di caratteri italiana, produce un carattere basato sulla scrittura del copista, grazie alla spinta di Raffaello Bertieri. 

Raffaello Bertieri, sebbene meno noto rispetto a personaggi come Alessandro Butti e Aldo Novarese, è una figura di spicco nel processo di rinnovamento dell'arte tipografica italiana. Appassionato dell'arte della stampa e del libro, negli ultimi anni dell'Ottocento entra nella redazione dell'importante rivista Il Risorgimento Grafico di cui diventa nel 1904 direttore e due anni dopo proprietario. Attraverso le pagine di Risorgimento Grafico, Bertieri promuove e ospita i più accesi dibattiti sulle nuove correnti della tipografia e, in particolare, tenta di risvegliare le coscienze sullo stato della tipografia italiana cercando di riportarla a nuova vita dopo il decadimento avvenuto nell’Ottocento


In cerca di modelli di semplicità ed eleganza, Bertieri, si volge al passato per fare “del bello nuovo” e riscopre i valori estetici dell’antica tradizione rinascimentale italiana. Ben presto fa del motto “Nova ex antiquis” la parola d’ordine per dare nuovo slancio alla tipografia italiana, rivendicandone il glorioso passato.​​​​​​​




Durante la sua carriera Bertieri occupa la carica di consulente artistico della Fonderia Nebiolo e dal 1923 al 1933 ne dirige la rivista trimestrale Archivio tipografico.

In questa logica di recupero del passato e secondo l'ideale di un’educazione popolare al bello tipografico, fece fondere nuovi tipi mobili votati a fornire ai tipografi italiani caratteri ispirati alla tradizione nazionale. Sotto la sua direzione furono incisi e fusi l’Inkunabula (1911), carattere ispirato a un incunabolo stampato nel 1476 a Venezia, e tipi come il raffinato Paganini e il Ruano (1926),

In particolare, nei primi anni Venti infatti, Bertieri decise di acquistare le matrici dell’Humanistic, carattere inciso e fuso negli Stati Uniti proprio sulla base della calligrafia di Antonio Sinibaldi, che all'inizio del secolo era stata riscoperta dal tipografo americano William Dana Orcutt, tra i cimeli della Biblioteca Medicea Laurenziana.

Il carattere fu ridisegnato e perfezionato all’interno della Fonderia Nebiolo e ne furono create nuove matrici.






La fonte di partenza per la ricostruzione del Sinibaldi è stato proprio lo specimen trovato all’Archivio Tipografico di Torino da cui è scaturita la ricerca, insieme a un ulteriore campionario Nebiolo del 1935. L'Archivio mi ha gentilmente fornito i due documenti sotto forma di scansioni ad alta definizione, dalle quali ho potuto eseguire la vettorializzazione di tutte le lettere.





Dopo aver sviluppato in parallelo i due font sono passata al loro accurato confronto, in particolare per comprendere le scelte progettuali fatte nella nella creazione del font Sinibaldi e in che modo si sia tradotta la matrice calligrafia quattrocentesca.





Analizzando le lettere possiamo osservare diverse somiglianze con la matrice calligrafica di partenza:

•  è presente un asse inclinato con un angolo di riferimento di 30°, proprio come nella calligrafia originaria
•  i tratti discendenti sono più estesi degli ascendenti
•  il contrasto è moderato (differenza di spessore tra tratti spessi e sottili della lettera)
•  il disegno di lettere come "B", "G", "m", "n" e "r" è molto simile alla calligrafia originaria






Già a colpo d’occhio si può però notare come i segni calligrafici siano stati oggetto di una generale operazione di normalizzazione, al fine di rispondere alle esigenze di un carattere a stampa. Si guardi ad esempio lettere come "H", "N" e "M": se nella calligrafia esse sono molto larghe, nel Sinibaldi queste sono state notevolmente ridimensionate. Questo perché in un carattere tipografico si tende a privilegiare la creazione di un ritmo costante nella scrittura, e più le lettere hanno le medesime proporzioni e soprattutto un medesimo spazio bianco al loro interno, più questo ritmo sarà regolare.


Le lettere sono state inoltre private delle loro curve sinuose in favore di un disegno più geometricamente definito, con tratti verticali o perfettamente diagonali (si veda "M"). La regolarizzazione dei segni è anche da ricondurre alle tecnologie utilizzate: lettere più geometriche rendono senza dubbio più facili le operazioni di produzione del carattere metallico. Nella creazione dei punzoni e delle matrici con il pantografo, risulta sicuramente più facile realizzare con precisione un'asta rettilinea piuttosto che un curva estremamente irregolare.






L’azione di normalizzazione ha interessato in modo interessante anche le grazie e i tratti terminali. Se le grazie delle aste ascendenti (si veda "b","d","h","l") delle lettere tracciate a mano sono triangolari e inclinate, riflesso dell’inclinazione della penna, nel Sinibaldi esse sono state rese piatte, con un segno netto.







Così come fatto per il font estratto dal manoscritto, anche per il font Sinibaldi si è cercato di ricostruire una metrica quanto più fedele a quella originale. Per mostrare l'accurato lavoro fatto per riprodurre la metrica originaria nella pagina seguenti si mostra una porzione di una pagina della pubblicazione Il carattere umanistico Sinibaldi e il Libro Bello, composta con il font Sinibaldi, seguita dalla stesso estratto con sovrapposto il carattere Sinibaldi digitale.




L’ attento confronto fatto tra i due font è stato utile per decidere la direzione progettuale verso cui procedere per lo sviluppo del Magnifico. Abbiamo visto come il font Sinibaldi sia stato in molti casi fedele al disegno originale ma come in altri abbia sacrificato la matrice calligrafica in favore di una normalizzazione delle forme. Nella creazione del nuovo font l’intento è stato quello di eseguire un’operazione di regolarizzazione delle forme cercando però di mantenere quanto più possibile le forme calligrafiche, specie nelle forme più particolari e caratteristiche della scrittura di Antonio Sinibaldi. La necessità di un compromesso tra questi due punti (già ben chiaro nelle scelte di disegno del font Sinibaldi della Nebiolo) è dettato da una parte dalla volontà di valorizzare un patrimonio calligrafico che è stato all’origine di caratteri tipografici da stampa, e dall’altra dalla necessità di rispondere alle esigenze della tipografia digitale. ​​​​​​​








La progettazione del font è stato un percorso di prove ed errori in cui sono state sviluppate diverse versioni.​​​​​​​
La prima direzione intrapresa è stata decisamente di stampo calligrafico con lettere dalle curve morbide e sinuose.Tuttavia, sebbene il disegno di queste lettere fosse ben curato e fedele all’originale, non era possibile non considerare la difficoltà della visualizzazione di questo tipo di curve a schermo, ovvero la problematica dell’hinting.







L’hinting, o ottimizzazione per schermo, è il processo attraverso il quale i font sono aggiustati per favorire una loro migliore visualizzazione sui monitor dei computer, in particolare a basse risoluzioni. In questo caso l’hinting è fondamentale per produrre un testo chiaro e ben leggibile.Le linee rette sono visualizzate molto meglio perché rese come una fila di pixel contigui, mentre al contrario le linee curve molto sinuose possono non essere altrettanto facili da visualizzare. In sintesi più le forme sono regolari più facile sarà la renderizzazione. Ho quindi agito quanto più possibile in fase di progettazione, ovvero direttamente sul disegno delle lettere, al fine di favorire una migliore visualizzazione su monitor. 

Il contenimento delle forme curvilinee della prima versione è stato dettato principalmente da questa necessità: di conseguenza il disegno è stato corretto seguendo una strada antitetica, convertendo le curve morbide in elementi rettilinei e ortogonali più adatti alla visualizzazione digitale. 







Sicuramente un disegno di questo tipo avrebbe aiutato la visualizzazione su schermo: le linee curve si erano trasformate in linee più geometriche, il movimento calligrafico della lettera "i" e "n" si era fatto più contenuto.
Tuttavia, sebbene questa direzione fosse più corretta dal punta di vista della migliore resa a schermo, la forma delle nuova versione di lettere risultava tradire la natura vivace e fluida delle forme della calligrafia di Sinibaldi.







Nell’ottica di compromesso tra fedeltà all’originale ed efficienza a schermo, è stata infine elaborata quella che sarebbe diventata poi la versione finale del font.

Aver elaborato due versioni antitetiche, possiamo dire ai poli di morbidezza e geometrismo delle linee, è stato molto utile per sviluppare un font che si ponesse come punto mediano fra queste. 
Le modifiche effettuate sono andate nella direzione di una pulizia e regolarizzazione del disegno senza però spegnere quella vivacità tipica della scrittura calligrafica. Il processo di creazione del Magnifico può essere riassunto come un susseguirsi di compromessi fra la volontà di mantenere intatte le forme calligrafiche e quella di rispondere alle esigenze dettate dalla tecnologia.






Il Magnifico, originandosi da una scrittura utilizzata per la stesura di lunghi testi, è stato pensato come font di testo. Per questo si è prestato una particolare attenzione alla leggibilità del font. Mettendo a confronto i tre font sviluppati possiamo innanzitutto vedere come nel font Antonio (e quindi nella calligrafia originale) gli spazi tra le parole siano molto ampi, creando in alcuni casi dei vuoti all'interno della texture del paragrafo. Nel Magnifico, lo spazio tra le parole è stato ridotto in modo da creare una maggiore uniformità tra i vuoti e i pieni. Inoltre, se nella calligrafia lettere successive si toccano, il Magnifico presenta una metrica leggermente più larga, di tipo tipografico, dove ogni lettera ha una sua indipendenza e si distanzia da quella che la precede e che la segue. Il risultato di queste operazioni è una texture omogenea e regolare, dove esiste un equilibrio tra i bianchi e i neri.

Il carattere ha una buona leggibilità anche a dimensioni molto piccole, come 6 punti e associa a un buon comportamento come font di testo anche un buon funzionamento come font display. In questo caso i particolari nel disegno delle lettere emergono e risultano particolarmente utili le varianti stilistiche.






In un mondo dove esistono migliaia di font, la promozione svolge un ruolo fondamentale nella loro vendita. Questa è fatta attraverso lo sviluppo di una vera e propria identità visiva del font definibile come “brand” del carattere. Così come si fa nello sviluppo di un’identità per un locale, per una marca di abbigliamento o per un prodotto, così anche per un carattere tipografico è necessario sviluppare quell’apparato grafico e testuale che ne delinea la personalità.

La sua identità storica fiorentina è stata subito sottolineata dal nome scelto per il font. Essendo stato sviluppato a partire dalla calligrafia di un copista fiorentino e basato su un manoscritto commissionato dal più grande signore di Firenze, Lorenzo de’Medici, il nome rimanda proprio all’appellativo con il quale quest’ultimo è passato alla storia. Il carattere infatti si vuole presentare come erede di un patrimonio storico sia calligrafico che artistico ed essere occasione per riscoprire tesori come il Libro d'Ore laurenziano. Il nome Magnifico è inoltre ben comprensibile in lingua inglese che presenta il termine equivalente “magnificent”, che significa proprio "magnifico", "maestoso", "splendido" e "degno di lode". Lorenzo de’ Medici è infatti conosciuto come “The Magnificent”.

La palette di colori utilizzata per l’apparato grafico del font è direttamente ispirata alle miniature presenti all’interno del codice laurenziano. I colori dominanti, oltre all’oro, sono il blu, il giallo, il rosso e il verde, con qualche tocco di celeste chiaro, rosa e lilla.






Il font è un vero e proprio prodotto commerciale che deve essere comunicato in modo efficace. In questo è possibile vedere la differenza di logica tra la calligrafia e la tipografia. Nel caso quattrocentesco di Antonio Sinibaldi il prodotto non è la sua calligrafia, non sono le lettere, bensì il manoscritto: è il libro d’ore il prodotto che Lorenzo de' Medici commissiona, le lettere tracciate dal copista sono solo una parte di esso, così come lo sono la miniatura e la legatura. Nel caso del carattere Sinibaldi e del Magnifico invece, il prodotto commerciale è proprio il carattere, l’insieme delle lettere: é questo infatti che viene venduto al cliente. Nel caso della Fonderia Nebiolo, essa vendeva i piombi a altre tipografie interessate a utilizzare il carattere; nel caso della tipografia digitale il font è venduto online al singolo utilizzatore oppure a un gruppo di essi, tramite una licenza.


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Nello sviluppare un font basato sulla scrittura di Antonio Sinibaldi, ci si è posti la sfida di interpretare una scrittura antica e da questa creare del "bello nuovo", un nuovo carattere che però si legasse ai nostri tempi. Per questo si è voluto progettare un font che, pur non mantenendo il legame con la calligrafica originaria, avesse un'impronta moderna e si adattasse alle esigenze del mondo digitale. Abbiamo visto dunque come il disegno delle lettere del Magnifico sia il risultato di compromesso fra questi due punti e in che modo sia stato operata un'operazione di regolarizzazione delle forme, senza però tradire del tutto la vivacità delle forme calligrafiche di Antonio Sinibaldi. 

Attraverso l'analisi del codice laurenziano si è inoltre avuto l'occasione di valorizzare un patrimonio artistico poco noto della città di Firenze, quello dei manoscritti. L'approfondimento ci ha dato poi modo di sottolineare il fondamentale ruolo che gli intellettuali fiorentini hanno avuto nel mondo della tipografia: abbiamo visto, infatti, come la calligrafia umanistica da loro codificata sia stata la matrice di partenza per lo sviluppo dei primi caratteri tipografici di tipo romano.

Alla base di questo lavoro di ricerca svolta c'è stata la passione per il mondo delle lettere e per la preziosa storia che oggetti come il Libro d'Ore laurenziano racchiudono. Come dimostrato nello sviluppo del Magnifico, si tratta di un patrimonio che non solo apre un varco nel glorioso passato di una civiltà, ma che fornisce infinite connessioni e spunti per il presente. Questa ricerca vuole perciò essere un punto di partenza per aprire nuovi scenari di progettazione tipografica basata sul dialogo tra passato e presente. Questi possono essere infatti occasione di studio e di approfondimento della ricchezza calligrafica e tipografica italiana, un patrimonio ingente, che al pari di quello artistico, è molto ben conosciuto all'estero ma di cui noi italiani siamo molto meno consapevoli.
Grazie per la visione!


Magnifico: Font dal Libro d'Ore di Lorenzo de' Medici
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Magnifico: Font dal Libro d'Ore di Lorenzo de' Medici

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