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Sicilia - Isola delle Emozioni

Sicilia - Tutti i colori del mondo
Odi et amo mia amata terra Madre.

Raccontare di te è impresa gloriosa e dolente, è insieme un grido e un lamento, una prova feroce, perché ciò che altrove è differente, con te tutto ha il suo posto nella dimensione del divino. Tutto incombe come un destino: lo è nascervi, quando nell’esatto momento in cui si aprono gli occhi alla vita si riceve in dono il desiderio di lasciarti, lo è nel passo lento dei giorni della tua gente, lo è nel desiderio bruciante di tornare da te. 

Il tuo stato di Isola, porta in sé il segno di una lontananza non solamente geografica, attorniati dal mare, matura la sensazione della deriva, al pari d’una nave senza ormeggio. L’incertezza regna, l’immanenza domina. L’assenza di confini disturba e sapersi nella finitezza di un limite sgomenta: quando è il mare a essere il solo dirimpettaio, la solitudine coltiva la volontà d’essere ovunque da li. 

Tuttavia nessuno più dei tuoi figli incarna l’instabilità, nessun altro, per contro, vive come noi nello spazio dell’eterno. 
M’incanti come un’affascinante fattucchiera. Mostri tutto distorto, niente è come appare. 

La mia anima rimane sospesa tra l’elegante lirismo d’una visione divina del Creato e la nuda contabilità del vivere faticoso. Tutto proviene da lì, dall’abitare sulla soglia della deriva e dunque appare più che normale, se non nei termini di una ragionevole salvezza, provare a essere altro da sé, se non altro per non lasciare che il destino mi riconosca subito quando arriverà a presentare il suo conto. 

Terra benigna, terra matrigna. Ai tuoi figli hai dato occhi d’oliva o di giada. La pelle candida come salina o bruna come zolle secche. Biondi ha voluto i capelli, come il grano maturo dei suoi altopiani o ricciuti roveti di more. 

Ci hai dispersi in eguale misura nell’eterno purgatorio di perdersi e ritrovarsi costantemente, nell’apparente incoerenza delle inflessioni, come se pure alle parole fosse assegnato il ruolo di moltiplicare le identità; e questo mescolarsi di gente, di vita e di lacrime compone una grandiosa e terribile contraddizione, convivere con le differenze, risolvendole nel suggestivo territorio delle visioni. 

Cos’è reale di te? E’ vero il sole che brucia la pelle, è vera l’ombra che vi si oppone e ristora; sono vere le nuvole gravide di pioggia, sono vere quelle che passano veloci; è vero il vento che solca i volti, è vero l’alito che li accarezza, è vero il mare, è vero il fuoco. Il resto è un palcoscenico nel quale ognuno recita il suo racconto, amaro e carezzevole come la memoria. 

E di memoria sono fatte le tue città, d’una memoria che assedia l’animo umano per devastarlo di ricordi. Tra i tuoi vicoli, le strade e le piazze si consuma ogni volta il distacco dal presente per sprofondare nelle suggestioni d’un tempo che si vorrebbe presente. Ritorno periodicamente da te, in cerca di me stessa, nel tentativo di ritrovare la magia delle risa infantili che rompevano la quiete estiva, e con lo sguardo vago alla ricerca di quell’antica umanità che abitava ogni singola via. La città non mi appartiene, sono io che appartengo a te, rimanendo per sempre dolcemente prigioniera, in bilico tra luce e ombre.

Ho costruito nuovi passi, nuovi sorrisi, ho visto e vissuto in nuove città, ma non hanno avuto il sapore di quelle passate, di quelle che sapevano di me. Ho lasciato tutto su quel marciapiade quando sono salita su quel treno, al posto delle mie valigie.

Mi hai costretta ad essere cittadina del vento. Mi hai lasciato prepotentemente i tuoi tratti riconoscibili, sulla pelle e nelle vene tutto scorre. La storia, le battaglie, l’insolenza, la bellezza, la ferita è profonda, il riscatto amaro.

Assolvimi o condannami mia amata terra madre. Io, racconterò di te.
Voice: Ivan Anoè
Music: Olexandr Ignatov
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